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Commissioni storiche e istituzioni nella BRD

12 dicembre 2012 No Comment

Commissioni indipendenti di storici e passato nazista

 

L’insediamento nel 2005 della “Commissione indipendente di storici” per indagare sulla storia del Ministero degli esteri tedesco (Auswärtiges Amt) durante gli anni del Terzo Reich e della BRD[1], ha spinto diverse istituzioni tedesche a seguire la stessa strada. Nell’estate del 2009 il Ministero federale delle finanze (Bundesfinanzministerium) ha nominato una commissione di storici per indagare sull’attività del suo predecessore, il Reichsfinanzministerium, durante il Terzo Reich. I temi su cui si sta concentrando il lavoro di questa commissione, che conta tra i suoi membri i più illustri esperti di storia economica del Terzo Reich[2], vanno dalla politica del personale al coinvolgimento del dicastero nella spoliazione delle proprietà ebraiche, nel finanziamento dell’economia di guerra e nello sfruttamento dei territori occupati. La notevole massa di documentazione che il Ministero delle finanze ha lasciato e che è ormai da molti anni consultabile presso il Bundesarchiv (Archivio Federale) di Berlino/Lichterfelde è una fonte preziosissima e finora poco usata[3] per studiare il nesso tra economia e politica nel Terzo Reich. I primi risultati dei lavori della commissione sono stati presentati da Adam Tooze (Università di Yale) e Stefanie Middendorf (Università di Halle) lo scorso 26 aprile al Forschungskolloquium delle cattedre di storia contemporanea e di storia sociale ed economica della Humboldt Universität di Berlino. A giudicare dalle relazioni dei due storici il testo finale della commissione metterà in discussione molte delle nozioni considerate fino ad oggi dagli storici del Terzo Reich consolidate certezze. Tra i risultati più significativi va segnalato che la ricerca della commissione, attraversa una rilettura attenta delle fonti, smentisce definitivamente l’idea che il Terzo Reich abbia finanziato la guerra principalmente attraverso risorse provenienti dai paesi occupati e alleati, mantenendo così relativamente elevato il tenore di vita della popolazione tedesca. Questa tesi sostenuta da G. Aly nel 2005 fu criticata già allora da A. Tooze[4] che si basava sui risultati delle sue ricerche sull’economia del Terzo Reich, confluite poi nel volume The Wages of Destruction[5].

Dal 2008 al 2011 una seconda commissione, formata da storici dell’Università di Halle-Wittenberg diretta da Patrick Wagner, ha indagato il passato del Bundeskriminalamt (BKA), l’ufficio centrale della polizia criminale federale tedesca. Il BKA non ha un diretto predecessore istituzionale negli anni del Terzo Reich. Esso fu fondato ex-novo nel 1951 come ufficio di coordinamento e scambio d’informazioni tra le diverse articolazioni della polizia. Ciò che gli storici hanno indagato dunque è piuttosto in che misura mentalità delle forze di polizia del Terzo Reich siano confluite in questa nuova istituzione attraverso continuità personali. La commissione ha concentrato le sue ricerche sul periodo di fondazione del BKA, sull’assunzione di personale che aveva già lavorato in organi della polizia nazionalsocialista e sulle continuità personali fino agli anni ‘80. La relazione finale, pubblicata nel 2011[6], analizza la storia della polizia criminale della BRD dal 1951 fino agli anni Ottanta, valuta quanto nella mentalità di suoi funzionari persistessero disposizioni mentali e ideologie ereditate dal Terzo Reich e quanto questo abbia influito sul comportamento di questa istituzione. In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista online “Zeithistorische Forschungen” i membri della commissione riassumono in breve i risultati delle loro ricerche[7]. Il BKA, rilevano gli autori, ha mostrato negli ultimi anni un atteggiamento relativamente aperto verso l’indagine delle parti più oscure del proprio passato. Nel 2007 il Presidente del BKA, Jörg Ziercke, ha organizzato una serie di conferenze sul passato nazionalsocialista di una parte della “generazione dei fondatori” dell’istituzione da lui diretta. Un anno dopo ha insediato la commissione consentendole l’accesso a buona parte delle carte del BKA e in più, su esplicita richiesta degli storici, ha acconsentito a versare la documentazione da loro usata all’Archivio Federale tedesco. “In questo modo”, sottolineano gli storici, “si crea in primo luogo la conditio sine qua non di una normale attività scientifica per il progetto di ricerca, cioè la verificabilità dei nostri risultati e delle nostre interpretazioni. D’altra parte si migliorano le condizioni materiali per ricerche ulteriori sulla storia del BKA”. Gli autori evidenziano che le continuità personali furono notevoli soprattutto nel primo decennio di vita dell’istituzione. Alla fine degli anni Cinquanta il 90% del personale dirigente del BKA era stato attivo nella polizia nazionalsocialista. I tre quarti circa di esso erano stati membri del partito prima del 1945 e due terzi erano stati membri delle SS. Nell’assumere nuovi collaboratori non vi fu un attento esame del loro passato. Potè accadere così che Waldemar D. (gli autori hanno scelto di non pubblicare per intero il suo nome) fosse assunto nel 1954 come criminalista dopo essere stato condannato all’ergastolo nel dicembre 1946 da un tribunale norvegese, poiché come membro della Gestapo si era reso responsabile di crimini di guerra durante l’occupazione, ed essere stato graziato alcuni anni dopo. Solo alla metà degli anni Sessanta il clima all’interno del BKA cominciò a cambiare, soprattutto a causa di pressioni esterne da parte dell’opinione pubblica e del governo. Da allora in poi s’iniziò a rivedere attentamente il passato del personale acquisendo la documentazione relativa dagli archivi competenti. Nonostante ciò concretamente portasse solo all’allontanamento di pochi collaboratori, questi sviluppi lasciarono un segno. Mentre fino ad allora all’interno dell’istituzione si era parlato più o meno apertamente del passato nazionalsocialista, addirittura con confronti espliciti tra l’attività del BKA e quella della polizia nazista, da allora in poi i collaboratori del BKA tesero sempre più a nascondere il proprio coinvolgimento nel Terzo Reich. Questo cambiamento di mentalità fu rafforzato da una decisa ondata di modernizzazione dell’istituzione negli anni ‘60 e dall’enorme crescita di personale in quegli anni che rese i vecchi collaboratori ex-nazionalsocialisti solo una minoranza.

Alla domanda se tutto ciò abbia influito o meno sulla mentalità e sul comportamento dei funzionari gli autori rispondono in modo molto cauto. Da un lato essi, citando diverse relazioni interne, evidenziano che esplicitamente si faceva riferimento a un patrimonio d’idee razziste e contrarie allo stato di diritto, soprattutto verso i Sinti e Rom. «La radicalità del razzismo biologico del periodo nazionalsocialista non fu ripresa nei dibattiti dell’AG Kripo [una sezione del BKA]», scrivono gli autori, «eppure si tornò al razzismo culturalista del periodo weimariano. Non si parlava più di “discendenza”, si parlava però di un gruppo etnico definito dalla cultura, stile di vita e vita comunitaria, che come tale rappresentava un pericolo». Simili continuità di pensiero sono state rilevate dagli storici anche nella percezione del comunismo. D’altra parte gli autori concludono che a fronte delle notevoli continuità personali l’influenza dell’eredità nazionalsocialista sulla politica del BKA fu sorprendentemente debole. «Se rapportata al potenziale del loro retroterra di esperienze la reale minaccia da parte di questi uomini alla democrazia e allo stato di diritto della Repubblica Federale Tedesca rimase bassa».

Questa conclusione ottimista, però, è relativizzata dagli stessi autori quando rilevano che questa immagine di riuscita modernizzazione vale solo se si assume il punto di vista dell’istituzione. Se invece la si guarda dal punto di vista delle vittime – ad esempio quello dei Sinti e dei Rom che solo in seguito ad una campagna politica negli anni Ottanta riuscirono ad ottenere la cancellazione dei più aperti stereotipi razzisti dai manuali per gli impiegati del BKA e della sigla ZN (Zigeunername – Nome Zingaro) associata ai loro nomi nel sistema informativo della polizia – la storia della democratizzazione del BKA appare assai meno come “storia di un successo”.

L’istituzione di commissioni per indagare la storia di istituzioni della BRD sta diventando una pratica diffusa in Germania. Nel febbraio del 2011 anche il Bundesnachrichtendienst, l’agenzia d’intelligence esterna della BRD, ha affidato a una commissione di storici una ricerca sulle vicende di questa istituzione tra il 1945 e il 1968, garantendole accesso al materiale documentario conservato presso il proprio archivio, finora non accessibile al pubblico[8]. Tutto questo ha aperto nella comunità scientifica un dibattito sul ruolo della Auftragsforschung (ricerca su commissione)[9]. Fino a che punto si può parlare di autonomia dell’indagine scientifica quando il ricercatore è pagato dall’istituzione che studia? In che misura gli storici vengono influenzati dalle aspettative, magari implicite nell’incarico, dei loro committenti? Il gruppo di ricerca sul BKA si è posto in modo molto franco questi problemi. Molte istituzioni, sottolineano gli autori, decidono di far luce sul proprio passato perché in fondo si aspettano che le ricerche delle commissioni producano un Erfolgsnarrativ, la storia di una democratizzazione riuscita. Ciò corrisponde in una certa misura all’auto-percezione dei funzionari di queste istituzioni: ai loro occhi gli anni ’70 sono stati uno spartiacque decisivo in cui la società tedesca e le sue istituzioni hanno cominciato a prendere decisamente le distanze dal passato nazionalsocialista. L’ondata di auto-storicizzazione istituzionale iniziata alcuni anni or sono rischia di riprodurre l’immagine rassicurante e autocompiaciuta di questa generazione. Questo timore di strumentalizzazione spiega come mai gli storici del gruppo di lavoro sul BKA sottolineino ripetutamente come la “modernizzazione” di questa istituzione sia stata più il frutto di pressioni esterne che di un’interna capacità di autoriforma del sistema.

Paolo Fonzi


[1] Su questo rimando alla scheda di A. D’Onofrio su questo sito all’URL: http://www.siscalt.it/ita/http:/www.siscalt.it/ita/armadio-blindato-della-vergogna-l%E2%80%99archivio-del-ministero-degli-esteri/ e ad un mio articolo che apparirà sul 2° numero del 2012 della rivista “Contemporanea”.

[3] Götz Aly nel suo libro Hitlers Volksstaat. Raub, Rassenkrieg und nationaler Sozialismus, Frankfurt am Main, 2005, (che ha suscitato un novetole dibattito in Germania) è stato il primo storico ad utilizzare massicciamente la documentazione del Ministero delle Finanze. Il libro è stato tradotto in Italia con il titolo: Lo stato sociale di Hitler. Rapina, guerra razziale e nazionalsocialismo, Torino, 2007. 

[4] Cfr. l’intervista a Tooze sul quotidiano Tageszeitung: http://www.taz.de/1/archiv/archiv/?dig=2005/03/12/a0289.

[5] A. Tooze, The wages of destruction: the making and breaking of the Nazi economy, London, 2006 [it. Il prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell’economia nazista, Milano, Garzanti, 2008]

[6] Sul sito del BKA vi sono ulteriori notizie sulla commissione ed è possibile scaricare il testo completo della relazione finale insieme a diversi articoli degli autori: http://www.bka.de/nn_205960/DE/Publikationen/BKA-Historie/bkaHistorie__node.html?__nnn=true.

[7] Imanuel Baumann/Andrej Stephan/Patrick Wagner, (Um-)Wege in den Rechtsstaat. Das Bundeskriminalamt und die NS-Vergangenheit seiner Gründungsgeneration, in: Zeithistorische Forschungen/Studies in Contemporary History, Online-Ausgabe, 9 (2012), H. 1, URL: http://www.zeithistorische-forschungen.de/16126041-Baumann-Stephan-Wagner-1-2012

[8] Si veda l’articolo della Süddeutsche Zeitung del 9 febbraio 2011: http://www.zag.unierlangen.de/media/directory/uploads/sz-amende.pdf

 

[9] Cfr. la giornata di discussione sull’Auftragsforschung organizzata dal Zentrum für Zeithistorische Forschungen nel gennaio del 2012: http://www.zzf-pdm.de/Portals/_Rainbow/documents/Veranstaltungen/flyer_auftragsforschung.pdf.

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