Das Große Heldenopfer
Wolfram Wette, “Das Große Heldenopfer”, Die Zeit – nr. 8 – 14 febbraio 2013
pasquale.decaprio@unina.it
L’anno 2013 ben si presta alle rilettura storica del passato nazionalsocialista della Germania. Di fatti, tanto gli 80 anni trascorsi dal 30 gennaio 1933 quanto i 70 passati dal 18 febbraio 1943 hanno ricevuto attenzione dalla stampa tedesca ed in particolare dal settimanale «Die Zeit».
Se il 30 gennaio 1933 è ormai “passato alla storia” come la data che rappresenti il giorno della “Machtergreifung” (presa di potere) nazionalsocialista, può invece risultare ancora “sconosciuto” ad un pubblico di non esperti il significato del 18 febbraio 1943. Un chiarimento è quindi d’obbligo: il 18 febbraio 1943 il ministro della Propaganda Joseph Goebbels tenne allo Sportpalast Palasport di Berlino un enfatico discorso sulla “Totaler Krieg” (guerra totale) con l’intento di spingere tutto il popolo tedesco, nella sua interezza, a combattere fino alla fine. Sino alla vittoria finale.
Proprio sul discorso di Goebbels si concentra l’articolo del professore Wolfram Wette (Università di Friburgo) che collega, almeno concettualmente, l’estremizzazione della guerra nella Germania nazista al tema del militarismo nella Prussia del Diciannovesimo 19° secolo.
Nei fatti, Wette sostiene la tesi, per la verità non nuova, che il militarismo prussiano sia uno dei fattori che abbiano spinto il regime nazista, qui trattato come un unico ente politico-militare, ad estremizzare le sue politiche belliche. Da von Clausewitz ad Hitler, passando per la Prima Guerra Mondiale, il passo sembrerebbe breve. Wette cita nel suo articolo diversi autori di poesie romantiche che vedevano nella morte per la patria un fine nobile ed auspicabile. Il tema del sacrificio per la patria raggiunse, chiaramente, una sua particolre diffusione durante la Prima Guerra Mondiale – benché andrebbe forse precisato che esso non fu un unicum tedesco – e rimase in voga anche durante gli anni della Repubblica di Weimar.
Interessante è la citazione dal film UFA “Morgenrot” del 1932. Nel film, che narra le vicende, sfortunate, di un sottomarino tedesco durante la Prima Guerra Mondiale, viene riportata la frase che il comandante Liers pronuncia rivolgendosi a sua madre: «Leben können wir Deutsche vielleicht schlecht, aber sterben können wir jedenfalls fabelhaft.» (Noi tedeschi possiamo forse vivere male, ma sappiamo comunque morire, in ogni caso, meravigliosamente.) Secondo l’autore dell’articolo, proprio per questa propensione alla morte ad al massimo sacrificio per la patria sarebbero stati cari ad Hitler la marina ed in particolare i sottomarini. In ultimo, Hitler stesso confidò a Speer nel marzo 1945 la sua visione apocalittica della guerra nella quale “o si vinceva o si moriva”. Tertium non datur.
Nella sua parte conclusiva l’articolo si concentra sul tasso di suicidi che vi fu in Germania, da parte dei fedeli al regime nazista, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In una cifra, non meglio provata, di circa 100 000 suicidi vengono annumerati trentacinque generali dell’esercito, sei dell’aviazione, tredici delle Waffen-SS e otto ammiragli della marina.
Benché i due temi principali dell’articolo: quello del “militarismo prussiano” e quello relativo all’ “estremizzazione” sembrerebbero essere l’uno la risultanza dell’altro, essi andrebbero, probabilmente, separati ed analizzati singolarmente. Si potrebbe criticamente osservare che, per quanto riguarda il supposto legame tra il militarismo prussiano ed il nazionalsocialismo, andrebbero certamente ricordati gli studi e l’interpretazione di Gerhard Ritter che fu tra i primi, negli anni ‘50 a storicizzare questo tema. Dall’altro canto, sarebbe potuto anche essere interessante fare riferimento all’interpretazione di Hans Mommsen circa la “radicalizzazione cumulativa” nel Terzo Reich.
Rimane tuttavia interessante l’annotazione di Wolfram Wette che mette in evidenza la mancanza di uno studio esaustivo che consideri il numero di alti funzionari del regime e del partito che, persa la guerra ma fedeli al motto « das Wort Kapitulation in unserem Sprachschatz existiert nicht» (nel nostro vocabolario la parola ‘capitolazione’ non esiste), decisero di togliersi la vita.