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Hypotheken der Vergangenheit / Ipoteche del passato

3 novembre 2013 No Comment

Hypotheken der Vergangenheit

Italien und Deutschland im Zweiten Weltkrieg zwischen Erfahrung und Erinnerung

Tagung aus Anlass der Berichts der Deutsch-Italienischen Historikerkommission

22.- 23. Oktober 2013

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Ipoteche del passato

Italia e Germania nella seconda guerra mondiale fra esperienza e memoria

Convegno sul Rapporto della Commissione storica italo-tedesca

22 – 23 ottobre 2013

Italien Zentrum, Freie Universität Berlin

 

 

Il convegno «Hypotheken der Vergangenheit» nasce per presentare il lavoro della Commissione storica italo-tedesca, composta da cinque storici tedeschi e cinque italiani, che ha operato fra il 2009 e il 2012. Alla Commissione è stato affidato il compito di rielaborare la storia delle relazioni italo-tedesche durante la seconda guerra mondiale, prestando particolare attenzione alle vicende degli IMI (Internati Militari Italiani) e alla violenza della Wehrmacht durante l’occupazione italiana

(http://www.villavigoni.it/index.php?id=76&L=1). All’interno delle due sessioni dei lavori («Fra guerra, alleanza e occupazione» e «Guerra della memoria dal 1945»), a cui hanno partecipato i membri della Commissione e altri storici, sono state approfondite le relazioni italo-tedesche e i conflitti di memorie in relazione alla guerra dell’Asse e poi all’occupazione tedesca fino alle problematiche del dopoguerra.

Dopo i saluti istituzionali dei rappresentanti del Ministero degli Esteri, sia italiano che tedesco, Wolfgang Schieder (Universität zu Köln), presidente della Commissione per la parte tedesca, introduce la conferenza riassumendo brevemente i principi guida del lavoro svolto: superare le barriere fra la memoria nazionale tedesca e italiana, archiviando gli stereotipi e le letture apologetiche nate dopo il ’45. Se i tedeschi a lungo hanno coltivato il falso mito della Wehrmacht buona, da parte italiana c’è stata una duratura rimozione relativa al collaborazionismo della RSI e alle colpe del fascismo. Ricorda, infine, la necessità di continuare il lavoro di ricerca scientifica e sottolinea l’importanza di portare all’attenzione pubblica i risultati della Commissione.

Presiede la prima sessione Mariano Gabriele (Sapienza, Università di Roma), presidente della Commissione per la parte italiana, e apre i lavori Thomas Schlemmer (Institut fϋr Zeitgeschichte, Mϋnchen), membro della Commissione, che ripercorre le relazioni militari fra Italia e Germania nell’ambito della seconda guerra mondiale. Sottolinea la centralità dello snodo del 1943, quando si chiude la guerra parallela di Mussolini, caratterizzata dall’assenza di una politica bellica comune con l’alleato tedesco, nonostante l’alleanza del 1936. L’Italia diventa il terreno di tre conflitti: fra Reich e Alleati, fra occupanti tedeschi e partigiani, fra questi ela RSI. È su questa fase che si è concentrata la memoria collettiva italiana, che ha rimosso i primi anni della guerra, le occupazioni fasciste, come il collaborazionismo della RSI, che è stata demonizzata. Anche Schlemmer sottolinea, infine, la necessità di continuare le ricerche sulla storia militare dell’Asse, soprattutto in riferimento ai primi anni dell’alleanza.

Hans Woller (Institut fϋr Zeitgeschichte, Mϋnchen), membro della Commissione, si concentra, invece, sull’occupazione tedesca in Italia, sottolineando il carattere policratico che ha contraddistinto le strutture di potere politico-militare del Terzo Reich anche durante l’occupazione, influenzandola Repubblica di Salò, i cui soldati possono essere avvicinati ai soldati politici sul modello delle SS. Il punto cruciale dell’intervento è l’invito ad allargare l’ambito delle ricerche rispetto ai crimini di guerra in Italia, indagando anche sui crimini dei soldati alleati e la loro percezione da parte della popolazione. Dal punto di vista pratico, sostiene Woller, sarebbero utili ricerche negli archivi di tutte le potenze impegnate nella guerra, nell’ambito di un progetto transnazionale.

La discussione si apre con Nicola Labanca (Università di Siena), che ricorda come l’eroicizzazione della Resistenza sia un paradigma superato dalla storiografia italiana, che preferisce ormai parlare di “resistenze”, per tenere conto della pluralità di correnti politiche e culturali che caratterizzarono il fenomeno e della frizione della società civile. Paolo Pombeni (Università di Bologna) ricorda la permanenza dell’idea della guerra anti-asburgica, che vedeva nell’austro-tedesco il secolare nemico, ma anche la forte stima per la cultura tedesca che animava molti intellettuali italiani.

La seconda metà del pomeriggio si apre con la relazione di Carlo Gentile (Universität zu Köln), membro della Commissione, che propone un’indagine, attraverso alcune opere autobiografiche, sulla memoria del milione di soldati tedeschi impiegati in Italia. Le loro esperienze furono molto eterogenee e fortemente condizionate dal luogo in cui si trovarono ad operare nel settembre del 1943. Elemento comune è l’associazione negativa dell’Italia al tradimento e l’interpretazione della Resistenza partigiana come causa dell’escalation di violenze. Nell’intervento viene sottolineato anche l’uso politico della memorialistica di soldati e ufficiali per sostenere l’assunto della «saubere Wehrmacht» nel dibattito sul riarmo della Repubblica Federale negli anni ’50.

Lutz Klinkhammer (Deutsches Historisches Institut, Roma), membro della Commissione, completando il quadro, analizza invece il ruolo della popolazione civile e i suoi eterogenei comportamenti dopo l’8 settembre del 1943. Ampio spazio è dedicato alla ricostruzione della guerra partigiana, della composizione delle bande partigiane e della loro relazione con la popolazione civile. Anche se non mancarono le famiglie che collaborarono con il fascismo o che attesero semplicemente la fine della guerra, Klinkhammer ricorda il forte potenziale di resistenza al fascismo che esisteva nella società civile italiana e il cammino compiuto dalla popolazione sulla via della liberazione.

Nella discussione successiva, Labanca suggerisce di approfondire le relazioni dei soldati tedeschi con gli italiani, invitando a paragonarle a quelle con i francesi, per verificare se ci fossero degli stereotipi simili. Gentile ricorda come le immagini negative dei tedeschi rispetto agli italiani spesso fossero legate anche a retaggi ottocenteschi.

La seconda sessione della conferenza, presieduta da Klinkhammer, inizia mercoledì con Filippo Focardi (Università di Padova). La sua relazione si concentra sugli stereotipi del «bravo italiano» e del «cattivo tedesco»,  che hanno condizionato la memoria della guerra e le relazioni fra Italia e Germania. L’immagine autoassolutoria dell’Italia, che omette la guerra coloniale in cui il paese era impegnato dal 1935, l’obiettivo imperialistico del fascismo nella seconda guerra mondiale e i crimini perpetrati dall’esercito italiano nelle zone occupate, ha avuto un pendant nella colpevolizzazione del tedesco. Il tedesco assume i tratti del nemico tradizionale (a partire dal Risorgimento), dello straniero incursore, del barbaro teutonico, bestiale e  ciecamente obbediente  all’autorità. L’italiano, al contrario, è visto come intimamente contrario alla guerra, contraddistinto da un’umana pietà, che lo porta a salvare gli ebrei, mentre le sue colpe risultano comunque influenzate dall’alleato tedesco. Decostruiti i due stereotipi, Focardi ne analizza la genesi fra il 1943/47. In questa fase gli Alleati – che volevano allontanare l’Italia dal fascismo rompendo il fronte dell’opinione pubblica – il CLN, la monarchia ela Chiesa usano e propagandano queste immagini per mobilitare gli italiani. La coppia di stereotipi si è dimostrata vitale, contribuendo alla rimozione delle colpe italiane e ad una memoria indulgente verso il fascismo.

Paolo Pezzino (Università di Pisa), membro della Commissione, in un’articolata relazione, ricostruisce la questione dei processi per i crimini di guerra commessi dai soldati tedeschi in Italia. La difficoltà ad affrontare i processi fu dettata da diversi fattori:la Guerra Fredda, la volontà di non creare imbarazzi nelle relazioni internazionali, la difficoltà di definire a livello giudiziario e penale le responsabilità dei militari in un contesto di guerra, la sottovalutazione delle sofferenze dei civili. Nonostante dal 1946 l’Italia potesse processare militari tedeschi, fu esiguo il numero dei processi conclusi, anche per la volontà di proteggere i militari italiani che avrebbero dovuto rispondere di crimini di guerra (emblematico è il caso del cosiddetto «armadio della vergogna»). Pezzino sottolinea anche le responsabilità alleate, il cui atteggiamento si evolve in pochi mesi da punitivo a giustificatorio. Solo nel 1994 si aprì una nuova stagione, con il processo a Erich Priebke e poi i processi avviati dal procuratore militare diLa Spezia sulle stragi compiute nel1944 in Toscana e Emilia. Anche in Germania ci sono state delle ricadute, ma la maggior parte dei processi si è concluso a favore degli imputati, o per mancanza di prove o perché gli omicidi non sono stati considerati aggravanti. La punizione per i crimini di guerra, dunque, è stata difficile, tardiva e incompleta, per l’arretratezza del diritto e dei tribunali militari, per la scarsa attenzione tedesca e le omissioni italiane. La domanda di giustizia sollevata dalle vittime è rimasta così fondamentalmente inappagata.

La discussione si apre con Pombeni che ricorda il peso che ha avuto la Guerra Fredda nel determinare il silenzio sulla questione, ricordando il ruolo della cosiddetta «sindrome di Weimar», ossia la paura di una instabilità italiana nel secondo dopoguerra.  Labanca, invece, ricorda la richiesta dell’Etiopia di processare i massimi responsabili di guerra italiani (Graziani e Badoglio) sempre negata dall’Italia. Invita, dunque, a guardare al contesto internazionale per chiarire la catena di omissioni rispetto ai criminali di guerra.

La seconda parte della sessione si concentra sulle vicende degli IMI, con la relazione di Gabriele Hammermann (KZ-Gedenkstätte Dachau), membro della Commissione. Gli “internati militari”, i soldati italiani catturati dopo l’8 settembre, subirono una dura prigionia nei campi di detenzione tedeschi e la condanna al lavoro coatto. Le reazioni degli IMI – indagate grazie alle loro lettere e diari, ai rapporti della censura, ai protocolli militari – furono di molteplice natura: dalla resistenza attiva, all’adattamento, alla scelta di alcuni di aderire alla RSI. Altrettanto sfaccettate sono le relazioni degli IMI con i tedeschi, inizialmente segnate da un’estrema ostilità, che si ridusse nel corso della guerra. Complessa è anche la questione del ritorno degli IMI, che inizialmente furono spesso sospettati di collaborazionismo, nonostante la loro scelta di resistere al nazifascismo, pagata con la prigionia.

Labanca ricostruisce il ruolo degli IMI nella memoria collettiva italiana, proponendo un modello complesso, segnato da diverse fasi. Durante la guerra si tacque sulle vicende degli IMI, mentre se ne cominciò a parlare nell’immediato dopoguerra, grazie alla fondazione di alcune associazioni. Fu negli anni Cinquanta che sopraggiunse una fase di silenzio, rotta da un primo ritorno alla memoria negli anni Sessanta, grazie anche agli studi di Giuntella. Negli anni Settanta gli IMI non furono inclusi nella retorica della Resistenza, che enfatizzava il contributo dei combattenti, ma gli anni Ottanta portarono ad alcune revisioni, grazie alle ricerche degli storici Rochat e Schreiber. Gli anni Novanta, invece, sono stati caratterizzati da una retorica ambigua, che ha sottolineato le vicende degli IMI più come vittime della guerra che come resistenti, fino alla presidenza Ciampi, che ha cercato di restituire agli IMI una legittimazione pubblica. Labanca conclude ricordando che l’esperienza degli IMI è saldamente inscritta nel perimetro della resistenza al nazifascismo. Ricorda infine che dell’esercito italiano solo il 10% circa dei militari collaborò conla RSI o non cooperò con gli Alleati.

Agli interventi degli storici segue la toccante testimonianza di Michele Montagano, che racconta l’esperienza vissuta in prima persona come Internato Militare Italiano in Germania (nel campo di Unterluss). Ricorda la drammaticità delle condizioni quotidiane, la durezza del lavoro, ma sottolinea soprattutto l’importanza della scelta, primo atto di libertà dopo la dittatura fascista, di rifiutare la collaborazione con il nazifascismo. In seguito prende la parola la direttrice del centro di documentazione di Niederschöneweide, che sottolinea l’importanza di questo luogo, ex campo di lavoro coatto, sia centro di documentazione che luogo autentico della memoria, dove dovrebbe sorgere il memoriale per gli IMI.

La Tavola Rotondaconclusiva è aperta da Christoph Cornelißen (Goethe-Universität Frankfurt) che torna sul concetto di “Erinnerungskultur” (cultura della memoria) che nasce dal permanente confronto fra società e politica ed è caratterizzata da una pluralità di forme e approcci. Se il ruolo dei media spesso è decisivo, Cornelißen s’interroga sul ruolo, spesso più marginale, degli storici, i quali tuttavia dovrebbero lavorare ad un’ “Erinnerungskultur” in una dimensione transnazionale. Pombeni si interroga sull’approccio metodologico scelto dalla Commissione, rinvenendo dei limiti nell’ “Erfahrungsgeschichte”, che potrebbe portare ad enfatizzare le percezioni individuali e a rendere più difficile un’analisi approfondita delle strutture. Il senatore Carlo Smuraglia, presidente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) solleva dei dubbi rispetto all’immagine complessiva della Resistenza che esce dai lavori della Commissione, invitando a non sminuirne il ruolo. Schieder ricorda l’importanza dei lavori della Commissione, che proprio rispetto alla questione degli IMI hanno aiutato a rompere il lungo silenzio tedesco. Difende poi, replicando a Pombeni, la scelta dell’ “Erfahrungsgeschichte”, che permette di trattare le storie individuali inserendole nel contesto dei gruppi di appartenenza, senza trascurare l’interdipendenza di storia militare e politica. Lauro Rossi, portavoce dell’ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia) sottolinea l’importanza delle attività di memoria di fronte alla progressiva scomparsa dei testimoni e sollecita la creazione di un luogo della memoria per gli IMI anche a Roma. Sostiene la necessità che i due governi, italiano e tedesco, proseguano nei negoziati, per legiferare sulle riparazioni verso gli IMI. Gabriele sottolinea l’importanza di un comune sentire europeo, che si articola anche grazie ai monumenti, che sono richiami permanenti alla memoria. Pezzino torna sul concetto di memoria condivisa, che in Italia è stato spesso usato in modo inappropriato, per spingere alla parificazione fra fascisti e partigiani. La memoria collettiva in una società democratica è plurale e si costituisce dall’intersecarsi di vari livelli, dal ricordo individuale a quello familiare, fino alla sfera collettiva a cui si riferiscono anche le politiche della memoria e della cittadinanza decise a livello statale. Pombeni, invece, ricorda come nell’articolarsi di memorie diverse, il ruolo degli storici sia di cercare di arrivare ad un giudizio sugli eventi condiviso, pur nelle divergenze interpretative. Chiude la Tavola Rotonda l’intervento di Aldo Venturelli (Istituto Italiano di Cultura Berlino – Università Carlo Bo Urbino), membro della Commissione, che annuncia la pubblicazione in Germania, nel 2014, di un libro che raccoglierà le testimonianze degli IMI, realizzando così uno dei primi provvedimenti indicati nel Rapporto finale dalla Commissione. 

Il bilancio della conferenza è decisamente positivo, sia per la ricchezza degli interventi storiografici, sia per la stimolante e partecipata discussione.

Costanza Calabretta

Dottoranda in storia contemporanea, Università di Roma ‘La Sapienza’

costanzacalabretta@gmail.com

Francesco Leone

Dottorando in storia contemporanea, Università di Trier

francescoleone2@alice.it

 

 

MARTEDI‘, 22 OTTOBRE

14.00 Grußwort des Präsidenten der Freien Universität, Prof. Dr. Peter-André Alt

14.05 Grußwort des Gesandten der Italienischen Botschaft in Berlin, Min. Giovanni Pugliese

14.10 Grußwort Auswärtiges Amt, Ministerialdirigent Dr. Peter Schoof

14.15 Begrüßung durch den Direktor des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Prof. Dr. Bernhard Huß

14.20 Einführung in das Tagungsprogramm: Prof. Dr. Wolfgang Schieder

 

1. Sektion: ZWISCHEN KRIEG, BÜNDNIS UND BESATZUNG

Vorsitz: Prof. Mariano Gabriele

14.30 – 15.00 PD Dr. Thomas Schlemmer: Die ‚Achse‘ im Krieg

15.00 – 15.30 Dr. Hans Woller: Kriegführung und Besatzung in Italien

15.30 – 16.00 Diskussion

16.00 – 16.30 Kaffeepause

16.30 – 17.00 Dr. Carlo Gentile: Erfahrungen deutscher Soldaten auf dem italienischen Kriegsschauplatz

17.00 – 17.30 Dr. Lutz Klinkhammer: Die italienische Zivilbevölkerung zwischen Widerstand und Kollaboration

17.30 – 18.30  Diskussion

 

MERCOLEDI‘, 23 OTTOBRE

2. Sektion: KRIEG DER ERINNERUNGEN SEIT 1945

Vorsitz: Dr. Lutz Klinkhammer

09.00 – 09.30 Prof. Filippo Focardi: Der ‚gute Italiener‘ und der ‚böse Deutsche‘

09.30 – 10.00 Prof. Paolo Pezzino: Die versäumte Bestrafung: Zum Problem der Kriegsverbrecherprozesse

10.00 – 11.00 Diskussion

11.00 – 11.30 Kaffeepause

11.30 – 12.00 Dr. Gabriele Hammermann: Die Erinnerungen der Italienischen Militärinternierten an Deutschland

12.00 – 12.30 Prof. Nicola Labanca: Die Militärinternierten in der Erinnerungskultur Italiens

12.30 – 13.30 Diskussion

13.30 – 14.30 Mittagessen

14.30 – 16.00 Podiumsdiskussion

Moderation: Prof. Aldo Venturelli

Teilnehmer: Prof. Dr. Christoph Cornelißen,Prof. Mariano Gabriele, Prof. Paolo Pombeni, Dr. Lauro Rossi (ANRP),Prof. Dr. Wolfgang Schieder, Sen. Carlo Smuraglia (ANPI)

16.00 – 17.00 Schlussdiskussion

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