L’Italia e il patto Ribbentrop-Molotov 1939-1941
L’Italia e il patto Ribbentrop-Molotov 1939-1941
Roma, 31 maggio-1 giugno 2012
Istitutum Romanum Finlandiae, Passeggiata del Gianicolo 10
Istituto Italiano di Studi Germanici, via Calandrelli 25 (Villa Sciarra)
Organizzazione
Associazione Italiana Studi di Storia dell’Europa Centrale e Orientale (AISSECO)
Dipartimento di Scienze Politiche, Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione, Università di RomaLa Sapienza
Guarini Institute forPublicAffaireJohnCabotUniversity
Dipartimento di Studi Internazionali, Facoltà di Scienze Politiche, Università Roma Tre
Istituto Italiano di Studi Germanici
Accademia Polacca
Institutum Romanum Finlandiae
Ambasciata di Lituania in Italia
Il 31 maggio e l’1 giugno 2012 presso la sede dell’Ambasciata Finlandese di Roma e presso la sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, a Villa Sciarra, si sono svolte due giornate di studio dedicate alla storia del patto Ribbentrop-Molotov e alla posizione dell’Italia nel contesto internazionale in cui è maturata l’alleanza tedesco-sovietica. Le quattro mezze giornate di lavoro sono servite a mettere in evidenza innanzitutto la dimensione mondiale, e non solo europea, dello scacchiere geopolitico in cui ha preso forma questa alleanza. Come era nei propositi degli organizzatori, è stato infatti possibile superare una certa vulgata della storia del patto Ribbentrop-Molotov, che per lungo tempo è stata raccontata seguendo il filo degli interessi di alcuni dei paesi usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale e in secondo luogo della Germania, seguendo cioè un punto di vista sul sistema delle relazioni internazionali del tutto interno alla sfera dell’Occidente. Sin dalla prima sessione del convegno, invece, è stato messo in risalto non solo il ruolo specifico dell’Italia in relazione a quello di paesi protagonisti, quali la Germaniae il Giappone, risalto che ha confermato il ruolo secondario di Roma e della diplomazia italiana sullo scacchiere internazionale. È stata altresì dedicata particolare attenzione al punto di vista sovietico, la cui introduzione nel dibattito storiografico, dopo l’Ottantanove e dopo l’apertura degli archivi sovietici, ha permesso di rivedere alcuni passaggi delle tappe che hanno portato alla sigla del patto, alla luce di logiche politico-diplomatiche, come quelle sovietiche, per nulla assimilabili a quelle tedesche e più in generale a quelle occidentali. In effetti, nel corso del convegno sono apparse sempre più determinanti le gravi responsabilità sovietiche nel promuovere sin dagli anni Venti il revisionismo anti-Versailles, in primis nelle relazioni con gli stati dell’Europa centrale, a partire dalla disputa su alcuni casi di contesa territoriale, come quella polacco-sovietica sulla città libera di Danzica situata in territorio polacco, quella sovietico-romena per il possesso della regione romena della Bessarabia e quella relativa al controllo della punta estrema della Finlandia, considerata da parte sovietica territorio di garanzia antitedesca. Del resto, anche la rivalutazione del punto di vista degli stati vittima, come la Polonia, la Finlandia, la Lituaniae la Romania, analizzata nelle due sessioni centrali del convegno, se da una parte ha permesso di rivedere i percorsi e gli esiti delle alleanze strategiche che hanno portato alla firma del patto, ha altresì contribuito a rimettere al centro del dibattito il ruolo dell’Unione Sovietica, che oggi, al pari se non più della Germania di Hitler, sembra svolgere il ruolo del “cattivo”. Dai documenti diplomatici polacchi, finlandesi e romeni, sembrerebbe emergere, in effetti, lo stato di progressivo accerchiamento cui gli stati menzionati sono stati via via sottoposti dall’aggressiva politica imperialista della Germania di Hitler e della potenza sovietica, entrambe intenzionate a rivedere gli esiti dei trattati di Versailles. È emersa quindi l’inevitabilità della guerra, secondo il giudizio di diversi esponenti diplomatici e dei governi nazionali summenzionati, anche qualora il patto non fosse stato firmato. La Polonia, in particolare, pur avendo scarse possibilità di manovra, sia secondo lo storico polacco Marek Kornat sia nell’incisiva analisi di Sandra Cavallucci (a cui si deve la monografia “Polonia 1939. Sfida al Terzo Reich. Illusioni, inganni e complicità alla vigilia della seconda guerra mondiale”, Rubbettino, 2010), compì la libera scelta di rifiutare un accordo con entrambe le potenze, giudicato in ogni caso lesivo dell’orgoglio nazionale, e di accettare quindi le garanzie di difesa offerte dalla Gran Bretagna.La Romania, invece, accerchiata dal Cremlino da una parte, il quale fino a metà anni Trenta aveva cercato con una politica di appeasement di accreditarsi come paese affidabile, e dalla Germania dall’altra, la quale con la progressiva coltivazione di interessi economici in territorio romeno stava lentamente attuando una colonizzazione economica del paese, opterà, dopo l’Anschluss e la spartizione della Cecoslovacchia, per un’alleanza con il Terzo Reich in funzione anticomunista. Del resto, come ha mostrato la relazione di Emanuela Costantini sulla reazione dell’opinione pubblica romena al patto Ribbentrop-Molotov, l’ammirazione della Romania per il modello tedesco aveva cominciato a crescere sin dalla conferenza di Monaco da parte di quasi tutte le forze politiche, salvo che nell’estrema sinistra. Da alcuni giornali romeni della destra Hitler era visto addirittura come il «nuovo Alessandro Magno». Esemplare della reazione dei paesi dell’Europa centrale e orientale alla revisione dei trattati internazionali mi pare il caso della Finlandia, collocata in un’intricata rete di relazioni trala Germania, da cui era considerata la punta avanzata di attacco contro l’Unione Sovietica, l’Italia e gli Alleati, interessata la prima a sostenerla in funzione anti-bolscevica e gli altri ad usarla in funzione antitedesca. Il caso della Finlandia mi pare che in qualche modo faccia capire come sulla ricerca di alcuni stati centro-europei di una collocazione internazionale, tra anni Venti e Trenta, sia stata determinante la funzione svolta da un complesso sistema di relazioni che a livello bilaterale e internazionale era sviluppato su diversi piani – economico-commerciale, politico, diplomatico, militare –, sistema che era variamente intrecciato per ciascun piano con il sistema delle relazioni internazionali mondiali e che, presentando al proprio interno tra un piano e l’altro profonde contraddizioni di alleanza, tendeva a un certo punto del suo sviluppo a ridurre i margini di decisione di ciascun stato nelle scelte strategiche nazionali, determinando quell’”accerchiamento” di cui molti relatori hanno parlato. Mi pare sintomatico di questo sistema il fatto che la democratica Finlandia nella guerra d’Inverno del 1940 non abbia potuto contare su alcun aiuto militare da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna, che invece ne inviarono all’Unione Sovietica in funzione antitedesca. Mentre sarebbe stata l’Italia fascista, seconda in questo solo alla Svezia, a inviare alla Finlandia il maggior quantitativo di materiale bellico in funzione anti-bolscevica.
A fronte di queste brevi note informative su quelli che, a nostro avviso, sono stati alcuni dei passaggi più interessanti di due giorni di dibattito, attendiamo, come annunciato, la pubblicazione degli atti del convegno per avere un quadro completo del sistema internazionale in cui maturò e si concretizzò l’alleanza tra la Germania di Hitler e la Russia di Stalin.
Fiammetta Balestracci