Resoconto workshop “Le sfide del secolo breve”
WORKSHOP SISCALT
Le sfide del „secolo breve“:
la storia e la storiografia tedesche e italiane tra guerra, dittatura e democrazia
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Villa Vigoni
15-18 ottobre 2014
Organizzazione e ideazione
Christoph Cornelissen (Goethe Universität Frankfurt a. M.)
Andrea D’Onofrio (Università di Napoli Federico II)
Lutz Klinkhammer (Deutsches Historisches Institut Rom)
Dal 15 al 18 ottobre si è svolto il secondo workshop SISCALT rivolto a dottorandi e post doc. Il seminario, organizzato nell’ambito dei “DFG-Villa Vigoni-Gespräche” è stato ospitato dal “Centro Italo-tedesco per l’eccellenza europea di Villa Vigoni” presso Menaggio (Co) e ha visto una partecipazione complessiva di 19 giovani ricercatori di lingua italiana e tedesca, di cui 14 dottorandi e 5 post doc. Nel ruolo di discussants, oltre agli organizzatori (Christoph Cornelissen, Andrea D’Onofrio, Lutz Klinkhammer), figuravano i professori Marina Cattaruzza (Universität Bern), Stefano Cavazza (Università di Bologna) e Petra Terhoeven (August Universität Göttingen).
La prima sezione del 16 ottobre, moderata da Martin Baumeister, direttore dell’Istituto Storico Germanico di Roma, e intitolata “Prima e seconda guerra mondiale”, è stata dedicata ai progetti di ricerca riguardanti diversi aspetti politici, economici e sociali direttamente collegati ai mutamenti introdotti dalle due guerre mondiali. Grazie ad un’interpretazione meno «rigida» della definizione di «secolo breve» di E.J. Hobsbawm, la prima relazione presentata da Filippo Triola (Università di Bologna) ha trattato in un’ottica comparata le principali trasformazioni dei linguaggi politici del socialismo italiano e tedesco tra la fine del XIX secolo e l’inizio della prima guerra mondiale. La seconda relazione, presentata da Antonio Farina (Università di Cagliari), ha posto all’attenzione dei partecipanti un aspetto specifico delle ripercussioni «interne» legate allo scoppio della prima guerra mondiale in Germania. In particolare sono stati esaminati «i processi osmotici tra blocco burocratico-militare e grande capitale durante la prima guerra mondiale, utilizzando come case study il cantiere navale di Brema AG “Weser” attraverso una triplice prospettiva di analisi: la mobilitazione industriale, il mercato del lavoro e la militarizzazione della forza lavoro». Una seconda relazione sulla prima guerra mondiale, questa volta incentrata sull’Italia, è stata discussa da Georg Winkler (Universität Bern). Il progetto di ricerca esposto da Winkler ha affrontato la questione del ruolo di Antonio Salandra nel processo decisionale che portò l’Italia in guerra. In questo caso il focus della ricerca, più che sulla storia diplomatica, risulta incentrato sulle reciproche interrelazioni tra ruolo personale di Salandra, organi politici e gruppi di interesse.
L’ultima relazione della prima sessione è stata presentata da Stefan Laffin (Universität Bielefeld). La seconda guerra mondiale e l’occupazione americana in Italia costituiscono lo sfondo del progetto di ricerca di Laffin. L’autore indaga il rapporto tra poteri locali italiani (soffermandosi soprattutto su mafia, Chiesa e movimento di resistenza) e autorità d’occupazione. Le relazioni tra questi diversi attori sono intese come processi fondamentali per la politica di occupazione americana e per la graduale formazione del nuovo stato postfascista.
La seconda sezione del convegno, moderata da Christiane Liermann Traniello, consigliere scientifico di Villa Vigoni, e intitolata “Fascismo e nazionalsocialismo”, è stata inaugurata da Sanela Hodzic-Schmid (Universität Bern). Il fascismo, il nazionalsocialismo e i rapporti tra i due regimi vantano, come è noto, una consolidata tradizione di studi. La relazione di Hodzic-Schmid si inserisce in uno dei dibattiti storiografici più promettenti degli ultimi anni: quello delle occupazioni fasciste nell’area mediterranea e in particolare balcanica durante la prima fase della seconda guerra mondiale. Hodzic-Schmid ha affrontato il problema dell’occupazione italiana nello “stato indipendente” di Croazia durante la seconda guerra mondiale (1941-1943), alla luce del concetto fascista di impero elaborato nel corso degli anni Trenta. Anna Lena Kocks (Freie Universität Berlin) studia, invece, un aspetto particolare della politica estera del partito fascista. La relazione ha illustrato in generale il fenomeno dei Fasci italiani all’estero, presentando poi una dettagliata analisi della politica interna della sede del Fascio di Londra. Il rapporto tra la comunità italiana nella capitale inglese e la sede del Fascio sono stati letti alla luce della volontà del fascismo di estendere agli italiani oltre confine le politiche di indottrinamento adoperate in Italia. Fabrizio Novellino (Università di Trento) ha illustrato un altro aspetto del variegato “mondo” della «propaganda parallela» e delle dinamiche della diplomazia culturale. Al centro dell’intervento c’era, infatti, la controversa figura di Adolf Dresler: giornalista, scrittore e propagandista. In particolare sono state ricostruite le vicende che alla fine degli anni Trenta portarono Dresler in contatto con il Ministero della Cultura Popolare guidato da Pavolini.
«Che cosa leggevano gli operai tedeschi sotto il regime nazista? […] Come veniva descritta la vita in fabbrica e […] in che modo questa letteratura destinata ai lavoratori venne piegata alle necessità ideologiche e propagandistiche della NSDAP?». Sono questi i principali interrogativi alla base della ricerca presentata da Vanessa Ferrari (Scuola Normale Superiore di Pisa – Ludwig-Maximilians-Universität München). Ferrari ha illustrato i complessi rapporti tra l’Arbeiterliteratur e la propaganda nazista tra la fine degli anni Venti e gli inizi degli anni.Trenta Un diverso tipo di “letteratura” è stato analizzato, invece, dall’ultimo intervento della seconda sezione, curato da Vittore Pizzone (Università di Torino). Pizzone ha presentato una relazione incentrata sulla «rete di relazioni tra diplomatici come essa emerge dalle memorie, dalle agende, dalle lettere, dai documenti anche secondari degli ambasciatori e dei funzionari di ambasciata di stanza a Berlino nel periodo compreso tra gli anni Venti e Trenta». In questo caso le fonti al centro del progetto sono rappresentate non tanto da atti ufficiali, quanto, invece, da quel vasto ed eterogeneo corpus documentario non direttamente collegato all’attività politica e diplomatica a cui è stata applicata la definizione di ego-documenti.
La terza sezione, moderata da Andrea D’Onofrio, si è svolta nel corso dell’intera giornata di venerdì 17 ottobre. Ad aprire la sezione dedicata ai “Processi di democratizzazione” è stata Kerstin Heermann (Georg-August-Universität Göttingen) che ha presentato una relazione sul ruolo politico svolto dalle donne in Italia all’interno delle istituzioni repubblicane. In particolare sono state esaminate le riflessioni autobiografiche delle donne che hanno dedicato la loro vita alla politica nel secondo dopoguerra, cercando di illuminare le diverse percezioni che le protagoniste dell’epoca hanno avuto del loro ruolo all’interno del processo di democratizzazione dell’Italia postfascista.
Il rapporto tra sistemi democratici e diritti umani costituisce un continuo processo evolutivo. Da tale punto di vista Malte König (Universität des Saarlandes Saarbrücken) ha illustrato le correlazioni tra l’abolizione della regolamentazione statale della prostituzione e i processi di democratizzazione in Germania e in Italia. In un’ottica comparata sono stati, quindi, presentate le diverse dinamiche teoriche e legislative che portarono all’abolizione della “licenza statale” dello sfruttamento della prostituzione nel 1927 in Germania e nel 1958 in Italia.
I rapporti tra Italia e Repubblica Federale di Germania hanno occupato un ruolo importante nelle tre successive relazioni. Felix Bohr (Humboldt-Universität zu Berlin) ha riletto la vicenda della detenzione di Kappler in Italia fino alla controversa fuga nel 1977. Il «caso Kappler», ha osservato Bohr, «rappresenta un punto di cristallizzazione della Vergangenheitspolitik italo-tedesca». Si tratta pertanto di un angolo visuale molto peculiare e interessante per leggere la storia politica delle relazioni bilaterali tra i due paesi dopo la seconda guerra mondiale.
Il rapporto tra intellettuali e terrorismo politico tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta del Novecento costituisce un oggetto di studio controverso per la storia politica della Repubblica Federale e dell’Italia repubblicana. Intorno a questi temi solo di recente la storiografia ha intrapreso studi sulla cooperazione bilaterale fra i due paesi o ricerche di taglio comparativo. Su questa scia si inserisce la relazione presentata da Daniele Resta (Georg August Universität Göttingen) che ha illustrato il suo progetto sul rapporto tra intellighenzia e terrorismo come argomento specifico di una storia degli intellettuali nei due paesi dopo la seconda guerra mondiale. Laura Di Fabio (Università di Roma “Tor Vergata” – Westfälische Wilhelms-Universität Münster) indaga, invece, la risposta dei governi italiano e tedesco di fronte alla minaccia dell’estremismo politico e del terrorismo negli anni Settanta e Ottanta del Novecento. L’obiettivo, ha illustrato Di Fabio, è ricostruire «una storia istituzionale degli apparati di pubblica sicurezza, degli organi giudiziari e del coordinamento tra gli stessi negli anni della crisi», analizzando le relazioni-italo tedesche in materia di antiterrorismo.
La politica, l’economia e la società dell’Italia repubblicana considerate dal punto di vista della diplomazia di Bonn hanno rappresentato l’oggetto di studio della relazione presentata da Gabriele D’Ottavio (Istituto Storico Italo-germanico di Trento – Fondazione Bruno Kessler). Il focus della relazione si basava su un inedito documento scritto all’inizio del 1976 dall’ex ambasciatore Rudolf Lahr e destinato all’ex Cancelliere Willy Brandt. Si tratta di una fonte che, come ha sostenuto D’Ottavio, «non riflette solo un’immagine stereotipata dell’Italia, ma un mutamento sostanziale sul piano politico nei rapporti tra i due paesi».
L’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia e in Germania occidentale è stato il tema dell’intervento di Elena Iorio (European University Institute Firenze). Attraverso una ricerca di storia comparata, Iorio ha ricostruito e analizzato il fenomeno dell’obiezione di coscienza all’interno dei due paesi, considerandolo come «un punto di accesso originale per la comprensione dei cambiamenti culturali del dopoguerra». Si è trattato, infatti, secondo Iorio, non solo di una conquista giuridica ma «anche di uno dei più evidenti risultati della nascita di un nuovo ordine di idee e percezioni della realtà di cui i primi obiettori si fecero portatori al fianco di un ampio ed eterogeneo movimento pacifista».
Francesco Leone (Universität Trier) ha discusso, invece, una relazione sull’atteggiamento del Pci nei confronti della «questione tedesca» tra il 1948 e il 1973. L’obiettivo del progetto di ricerca, ha spiegato Leone, consiste nell’analisi intorno a tre livelli distinti: in primo luogo i meccanismi decisionali del partito e dei dibattiti interni ai comunisti italiani sulla questione tedesca; in secondo luogo le interazioni tra la politica tedesca del Pci e quella del governo italiano; infine un confronto tra la politica tedesca del Pci con quella dell’Unione Sovietica. L’intreccio tra questi diversi fattori potrebbe fornire un’interessante chiave di lettura del rapporto tra il movimento comunista italiano e il complesso ambito della cosiddetta «questione tedesca».
La relazione presentata da Isabella Ferron (Università di Padova) ha offerto un interessante contributo interdisciplinare ai temi al centro del workshop. Una delle date simbolo della storia tedesca nella seconda metà del Novecento – il 17 giugno 1953: quando i moti operai nella DDR e in particolare a Berlino Est vennero repressi con la forza dall’Armata Rossa – è stata analizzata attraverso alcune importanti opere letterarie in lingua tedesca. L’elaborazione letteraria dell’evento del 17 giugno 1953 maturata nel corso degli anni successivi, ha illustrato Ferron, consente di avanzare un’articolata riflessione intorno al tema della democrazia e al rapporto tra letteratura, democrazia e politica, così come esso si è sviluppato in ambito tedesco.
L’ultima relazione della terza sezione e dell’intero workshop SISCALT 2014 è stata presentata da Costanza Calabretta (Università di Roma “La Sapienza”). Oltrepassando i confini cronologici del “secolo breve”, così come era accaduto per il termine temporale a quo in occasione del primo intervento del workshop, Calabretta ha discusso una relazione sulla cultura della memoria nella Germania riunificata. Come si è articolato il processo politico, sociale e culturale che ha portato all’individuazione di una data precisa per festeggiare la festa nazionale nella Germania riunificata? Che ruolo svolge la memoria della “rivoluzione pacifica” e della riunificazione nelle commemorazioni pubbliche dell’odierna Repubblica Federale di Germania? Sono state queste le principali questioni discusse da Calabretta, con la consapevolezza di esaminare argomenti da cui risulta difficile trarre precise conclusioni poiché si tratta di processi «fluidi» e tuttora in corso.
Le considerazioni conclusive del secondo workshop SISCALT avanzate dagli organizzatori, dai discussant e dai partecipanti hanno evidenziato come tali occasioni rappresentino un’importante momento di interazione scientifica tra i ricercatori delle due aree linguistiche. Fondamentale in tal senso è risultata la perfetta struttura organizzativa di Villa Vigoni e il sostegno offerto dalla Deutsche Forschungsgemeinschaft. La splendida cornice paesaggistica, l’affascinante ambiente e l’accogliente clima di ospitalità offerto da Villa Vigoni sono stati di particolare stimolo per l’importante incontro e la conoscenza, sul piano scientifico ma anche umano, tra giovani storici italiani e di lingua tedesca e il rafforzamento di un importante dialogo tra le due culture storiografiche. Da tale punto di vista è emerso il ruolo cruciale che la SISCALT ricopre in questo settore già da alcuni anni. Il seminario è stato inoltre caratterizzato dalla generale conoscenza delle due lingue (italiano e tedesco) da parte di tutti i partecipanti: si è trattato di un aspetto che ha permesso ad ognuno di esprimersi attraverso la propria lingua madre. Tale modalità di lavoro – come è stato unanimemente riconosciuto dai partecipanti – ha reso possibile una maggiore fluidità nel corso delle presentazioni e nelle relative discussioni. L’appuntamento biennale con il workshop SISCALT si avvia a diventare, pertanto, una delle principali occasioni in Italia di riflessione sullo stato delle più recenti ricerche intorno alla storia contemporanea dell’area di lingua tedesca.
Filippo Triola – Università di Bologna