“Stalingrad, Massengrab”
Christoph Dieckmann, “Stalingrad, Massengrab”, “Die Zeit” n° 51 del 13/12/2012
Versione online su “Zeit online”: http://www.zeit.de/2012/51/Ausstellung-Stalingrad-Dresden
Recensione di: Pasquale De Caprio, Università degli Studi di Napoli “Federico II” – pasquale.decaprio@unina.it
Dal 15 Dicembre 2012 fino al 30 Aprile 2013 sará possibile visitare al Militärhistorisches Museum (museo militare) di Dresda una mostra dal titolo “Stalingrad” e dedicata alla battaglia di Stalingrado. Una battaglia, durata dall’estate del 1942 al febbraio del 1943, che segnò le sorti della Seconda Guerra Mondiale e che divenne simbolica tanto per i russi quanto per i tedeschi. Ed è esattamente sull’esistenza di questa prospettiva doppia o tripla, se si considera la storia della Germania che si è riunita solo nel 1990, che Christoph Dieckmann richiama la nostra attenzione. Per l’appunto l’autore riporta le interessanti riflessioni tanto di Matthias Rogg – direttore, tedesco, del museo di Dresda – quanto di Nikolai Iwanowitsch Musienko – direttore, russo, del museo Panorama di Volgograd, attuale nome della città di Stalingrado.
La battaglia di Stalingrado fu interpretata da molti storici come il punto di svolta non solo del conflitto tra russi e tedeschi ma di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, la battaglia di Stalingrado divenne un “simbolo” per le forze alleate che a partire dal 1943 presero consapevolezza del fatto che anche l’esercito nazionalsocialista poteva essere sconfitto. Infatti l’intera Sesta Armata tedesca del generale Paulus venne decimata durante i mesi di violenti scontri, casa per casa e metro per metro, che caratterizzarono la battaglia di Stalingrado. I morti furono circa 700.000 tra civili e militari. Una “massa” nella “guerra di massa”. Tuttavia – secondo Matthias Rogg – Hitler perse la guerra non nell’inverno russo del 1942-43 ma già il 21 Giugno 1941, data dell’inizio dell’invasione della Russia. Eppure l’Operazione Barbarossa (nome in codice del piano di assoggettamento di tutto il territorio europeo dell’Unione Sovietica) sembrò essere vincente nei primi mesi di scontri e l’avanzata tedesca non potè efficacemente essere arrestata dall’Armata Rossa. Va ricordato che in effetti i tedeschi avanzarono piuttosto velocemente nel territorio russo nei primi mesi di guerra e causarono all’esercito sovietico un gran numero di perdite. Questi iniziali successi e la parziale impreparazione di Stalin e del suo stato maggiore illuse Hitler che sopravvalutò le capacità militari del suo esercito e che, per l’appunto, immaginò di conquistare Stalingrado in “volata”. Difatti il dittatore tedesco annunciò via radio, il giorno 8 novembre 1942, che le truppe naziste avevano conquistato la città.
La realtà dei fatti era però ben diversa dalle aspettative di Hitler e la battaglia di Stalingrado non si era affato conclusa ma, al contrario, si inaspriva sempre di più con l’avvicinarsi dell’inverno. D’altronde se la conquista di Stalingrado aveva un valore simbolico oltreché militare per Hitler, anche la sua difesa era per Stalin una questione d’onore. Tanto da parte tedesca quanto da quella russa la resa venne vietata.
Nell’interessante articolo di Dieckmann anche la prospettiva russa è presa in considerazione. La battaglia di Stalingrado divenne una battaglia simbolo per tutta l’Armata Rossa e la città di Stalingrado divenne un simbolo. Essa divenne un luogo che oggi definiremmo un Erinnerungsort (luogo della memoria). Nella storiografia e nella cultura russa la battaglia di Stalingrado simboleggiò il primo passo verso la conquista di Berlino e la conseguente sconfitta del regime nazista. Per tanto, Stalingrado venne celebrata e raccontata non solo da storici ma anche da scrittori come Vassilij Grossman[1]e Konstantin Simonov[2] e registi come Alexander Stolper che nel 1964 portò su pellicola il romanzo di Simonov “I vivi e i morti”.
Tuttavia la mitologia che si è costruita intorno a tale battaglia rischia di essere oggi “trasformata” in una mitologia delle vittime tedesche, ovvero della Wehrmacht, che invece in Russia si macchiò di atrocità come il massacro di 33.000 ebrei a Babi Jar presso Kiev. Ma di questo rischio non sembra esserne preoccupato il direttore del museo di Volgograd che ha collaborato attivamente all’organizzazione di questa mostra. Musienko riconosce apertamente che ogni popolo ha “diritto” alla sua visione ed interpretazione degli eventi ed è perciò importante che Germania e Russia continuino a collaborare ed a dialogare anche su questo passato conflittuale che li lega. In effetti – solo per quanto riguarda il settimanale Die Zeit – sono già numerosi gli articoli dedicati a Stalingrado ed al conflitto russo-tedesco[3].
Infine, la stretta contemporaneità e la possibile reinterpretazione in chiave neonazista della battaglia di Stalingrado come “Heldenmythos” (mito degli eroi) fa capolino nelle ultime righe dell’articolo di Dieckmann che tuttavia può essere analizzato alla luce di un continuo confrontarsi in maniera diretta con il proprio passato proprio partendo dal presupposto che la presa di coscienza delle atrocità e sofferenze causate dalla guerra siano la miglior cura ed il miglior rimedio contro ogni falsa interpretazione. Paradossalmente, mentre oggi i giovani neonazisti sembrano esaltare gli eroi di Stalingrado e la guerra contro i russi, le lettere e le memorie di quella battaglia ci raccontano di soldati stanchi, sfiduciati e tristi. Soldati tedeschi che non pensavano ad altro che: “Wann diese Scheiβe endlich mal ein Ende hätte” (Quando finirà finalmente questo schifo).
[1] Cfr. V. Grossman, Vita e destino (trad. italiana), 2008.
[2] Cfr. K. Simonov, I vivi e i morti (trad. italiana), 1959.
[3] Cfr. Stalingrad-Protokolle in: Die Zeit, N°47/12. Si vedano inoltre gli articoli ai seguenti link:
http://www.zeit.de/2012/47/Stalingrad-Jochen-Hellbeck; http://www.zeit.de/wissen/geschichte/2012-08/fs-stalingrad;
http://www.zeit.de/zeit-geschichte/2011/02/Krieg-aus-der-Sicht-der-Sowjets